acciughe sotto sale
9 settembre 2019
MERENDE ELEMENTARI
Sono i primi giorni di settembre.
E’ mattina presto e sono uscita per fare colazione al bar. L’aria è già raffrescata, e questo mi piace comunque, nonostante la fragranza malinconica di un’estate velocissima che sta per finire.
Quest’anno Gilda andrà in prima elementare.
A quanto pare siamo già in ritardo sull’acquisto dell’occorrente. Grembiulini blu, zaino, astuccio, diario e quaderni.
Mai come questa volta mi si propone un frequente dilemma: facciamo scegliere a Gilda lo zainetto, sicuri che in casa entrerà l’ennesima treccia bianca di Elsa di Frozen, o scegliamo noi, optando per qualcosa di più sobrio che sfugga alla logica commerciale della sponsorizzazione cartoonistica di ogni oggetto di uso infantile?
Scegliamo noi, non certi che sia una scelta pedagogicamente corretta, sicuri di scontentare Gilda, ma fieri della convinzione che anche il gusto vada educato da subito.
Comunque, le elementari, dicevo: e una voragine si apre dentro di me, rivelandomi un mondo sommerso che profuma di astucci a tre scomparti.
Il profumo dell’astuccio, appunto: chi non se lo ricorda? Io ci infilavo il viso dentro per annusare quel magico odore misto di grafite, di gomma, di penne Replay.
Tutto in bella fila ordinato: il lapis insieme alle tre biro, al righello, ai pastelli e ai pennarelli con la loro ipnotica sfumatura cromatica, in una geometria verticale che qualche bambino riusciva a conservare nel tempo e qualcun altro invece già sovvertiva a suo piacimento, perdendo oggetti, creando buchi vuoti e così l’astuccio mi sembrava diventare uguale alle nostre bocche sdentate, piene di disarmoniche “finestre”.
E l’odore della pellicola per foderare i libri: chi se lo ricorda? Azzurra, verde e rossa, di plastica rigata o con il risvolto interno trasparente per i quaderni… quell’odore di chimico: ancora ad oggi un proiettile che mi riporta diretto dentro le pagine illustrate del sussidiario (che bella parola!) o tra i disegni di ombrelloni, secchielli e stelle marine del libro dei compiti per le vacanze.
Le pareti della nostra classe erano rivestite di cartelloni colorati. Con i nostri collages avevamo rappresentato le civiltà antiche, con le urne e le piramidi; c’erano la cartina dell’Italia, il sistema solare e le tabelline ma la cosa che più di tutti mi ricordo con nostalgia era il disegno dell’albero dei pomi di Azzurra, dipinto durante lo svolgersi delle stagioni.
Azzurra era una nostra compagna. Un viso paffuto, roseo, con qualche lentiggine, capelli voluminosi rossicci. Abitava vicino alla scuola e la maestra ci portava nel suo giardino ad osservare come l’albero dei pomi si ricoprisse di straordinari frutti arancioni con riflessi dorati d’autunno e rimanesse lugubremente spoglio in inverno.
Sulla cattedra della maestra un giorno arrivò una vaschetta con dentro dei girini: in un attimo decine di codini e trecce e ciuffi senza gelatina sovrastarono i poveri animaletti, subissati da gridolini e tentativi di acchiapparli con le mani; entusiasmi infantili ammutoliti di colpo di fronte allo stupore del primo grande spettacolo che la natura mostrò ai nostri occhi quel giorno che, al posto della coda, ai girini spuntarono le zampe.
Angiolina era la mia maestra, una donna che mi pareva altissima. D’inverno portava sempre maglioni stretti con il collo alto su gonne di lana e collane lunghe.
A casa, il pomeriggio mi vestivo come la mia maestra, con tanto di occhiali marroni con lenti azzurrine, le immancabili collane di perline e facevo finta di essere lei, tanto ammiravo la mia insegnante.
Durante questi pomeriggi, arrivava l’ora di merenda.
Solitamente avanzava qualche ritaglio di pan di spagna che mia nonna mi farciva con la crema pasticcera o con la crema al cioccolato, sempre calde. Altre volte, pane con l’olio.
Altre volte ancora, il richiamo era fortissimo. Sapevo che là, al riposo, protette in un utero salino, c’erano loro.
Camminavo lungo il corridoio stretto e lungo ed entravo in casa di Evera.
Dietro la cucina c’era una minuscola dispensa buia con un armadio e un’alta credenza. Lo spazio tra i due mobili era strettissimo. Sulla credenza c’erano barattoli di marmellate, pacchi di pasta, di zucchero, bilance e, tra tutti questi oggetti, torreggiava un grandissimo barattolo di vetro con il coperchio.
Io lo sollevavo: imprigionate tra cristalli di sale grosso, le acciughe dell’Isola d’Elba.
Diamanti.
Evera aveva un genero di Porto Azzurro.
Ogni anno, al rientro dalle vacanze, portavano dall’Isola questo straordinario barattolo di acciughe sotto sale, meraviglia tra le meraviglie del mondo affettuoso delle dispense casalinghe.
Io mi ricordo la temperatura della luce della lampadina gialla che c’era in quella stanza; mi ricordo che avevo già pronta in mano la fetta tonda di pane spalmata di burro («una frustina da due etti e mezzo, grazie» dicevo al fornaio ogni mattina d’estate, per conto di mia nonna) e con un coltellino scalzavo l’acciuga che di lì a poco avrei lavato dal sale e privato della lisca, per divorarla in un attimo ed avere nella bocca il blu profondo e salato del mare di Porto Azzurro.
acciughe sotto sale
Ingredienti
- 500 gr acciughe
- 250 gr sale grosso
Istruzioni
- Per prima cosa pulisci le acciughe togliendo la testa: afferra la testa e ruotala staccandola e tirando verso il basso con delicatezza in modo tale da eliminare anche le viscere.
- Metti le acciughe così pulite nella "arbanella", tipico recipiente usato in Liguria; in assenza, un barattolo di vetro andrà benissimo. Perfettamente lavato, asciugato, meglio sterilizzato. Cospargi il fondo con uno strato di sale grosso e inizia a riempire il barattolo alternando le acciughe con il sale grosso. Le acciughe vanno messe in sequenza testa-coda, in modo da non lasciare spazi vuoti. Procedi così facendo attenzione a non lasciare bolle d'aria all'interno del barattolo: ogni tanto battilo in modo da riempire ogni spazio. Quando arrivi a due cm. dal bordo, riempi lo spazio rimanente con il sale grosso.
- Copri il barattolo con un piattino e sopra appoggiaci un peso (un sasso, un peso di legno, qualunque cosa). Appoggia il barattolo sopra un piatto per contenere la eventuale fuoriuscita di liquidi.
- Lascia le acciughe in un luogo fresco e al buio e di tanto in tanto riabbocca il barattolo con la salamoia: aggiungi 1 hg di sale in 250 ml di acqua e falla bollire.Poi continua ad aggiungere il sale finché non si vedi che questo non si scioglie più. Una volta che questa soluzione si è raffreddata, aggiungila sopra le acciughe.
- Le acciughe sono pronte dopo circa due mesi. Solo a questo punto si può chiudere il barattolo con il coperchio.
OPPURE PROVA QUESTE…
feta grigliata
“IN UN PAESE ANTICO UN RAGAZZO CAMMINA IN SALITA ”
Silenzio assoluto.
Non rumore di vento perché l’aria è immobile.
Non rumore di uomo, perché a quest’ora non c’è nessuno.
Non rumore di mare, perché da quassù, in alto, lo possiamo solo vedere. Questo specchio blu.
Non azzurro. Non turchese. BLU. IL GRANDE BLU.
Oggi scrivo di te.
schiacciata con l’uva
LA MERENDA DELLE QUATTRO
E’ tempo di vendemmia.
Tutte le volte che arriva questo periodo dell’anno mi viene voglia di infornare la schiacciata con l’uva.
Intanto il forno scalda e già questo, dopo mesi di monogamici rapporti intimi con il frigorifero, mi regala un senso di conforto.
Poi impasto. Quel gesto atavico che evoca millenni.
Poi lievita. Quel profumo antico impiantato nella corteccia cerebrale di ogni essere umano, in ogni epoca, in ogni parte del mondo.
Alla fine lei è pronta: profumata, dolce con tutto quello zucchero sopra e succosa, con i chicchi d’uva morbidi e succulenti.
Cara Martina , il sito è fatto benissimo, le foto sono belle e l’idea originale. Nel fine settimana ho letto tutte le ricette con i racconti annessi. Mi sono divertito, emozionato e commosso. Come scriveva Huxley ” La memoria di ogni uomo è la sua letteratura privata”. Un abbraccio.
Caro Giulio,
mi sembra impossibile poter regalare queste emozioni con queste mie intime storie. Di contro, tu mi hai regalato una delle citazioni più belle che io abbia mai sentito. Un grande regalo.
Grazie.
Un abbraccio
Martina