polpo all’elbana
20 agosto 2020
MEMORIE ELBANE N.2
Il mio babbo non smette di ricordare quelle estati infinite a Porto Azzurro.
Il profilo scuro dell’Isola è davanti a noi.
Lucciole lontane, nel buio, sono le luci di Capoliveri, Rio Marina, Naregno.
Lo sciacquio del mare, il rumore ipnotico del moto di ritorno delle onde che si infrangono sulla spiaggia suscita in Renato una risacca di ricordi, che rilascia ed abbandona, davanti ai nostri piedi, conchiglie di mondi scomparsi.
Renato trascorreva l’intera estate all’Elba con Evera che andava a fare visita alla figlia primogenita, Rossana, trasferitasi con la famiglia in ragione del lavoro del marito.
Così, i due partivano con il treno da Saline per un viaggio che, all’epoca, pareva lunghissimo. A Piombino salivano sul traghetto che li lasciava, felici e trepidanti, al porto di Porto Azzurro.
Ad ogni arrivo della risacca, un ricordo.
Sulla spiaggia, i primi turisti tedeschi – facce rosse e gambe bianche – si divertivano a spellare la schiena dei ragazzini: queste pelli scure, abbrustolite dal sole, che si squamavano venendo via a pezzi interi, erano il simbolo di un divertimento anacronistico e di un’epoca di innocenza turistica, quando visitare un altro paese era ancora visitare un altro mondo.
Il pomeriggio trascorso a scoprire spiagge, calette, insenature: a vedere come facesse questa acqua, che è sempre acqua, a diventare di colori così diversi: bianca, blu oltremare, verde, turchese.
Per un ragazzino di paese, abituato a vedere campi di grano a perdita d’occhio, questa scoperta del mare parlava di qualcosa di più libero e di più esotico di boschi e di fiumi.
Il mare era ovunque; sembrava di non avere la terra sotto i piedi.
Durante queste escursioni, una volta, arrivò un gruppo di pescatori.
Renato osservò con attenzione i loro movimenti soprattutto quando iniziarono a gettare in mare, attaccato ad un filo, qualcosa di strano, di flaccido, di bianco. Ad un certo punto, rapidamente il pescatore tirò su il filo: non si sa se la sorpresa più grande fu capire cosa fosse stato usato come esca o quale fosse stato il pesce pescato: una zampa di gallina mozzata e lessata ed un viscido, amaranto, bellissimo polpo!
La notte, invece, si vedevano arrivare le barche che avevano, a prua, una lampada orientata verso l’acqua ed un oblò di vetro attraverso il quale i pescatori osservavano il fondo del mare. Appena passava il polpo, attratto dalla luce, il pescatore gettava giù la fiocina e lo infilzava, tirandolo su con fiera soddisfazione.
Il nostro scugnizzo passava ore ad osservare i pescatori, con i loro piedi ruvidi e le mani avvizzite. Poi ritornava in paese, nell’ora giusta per godersi i défilé dei signori che, ben vestiti e profumati, uscivano a passeggiare, a mangiare un gelato.
A quell’ora della sera, per le vie di Pomarance iniziava la veglia con le sedie portate fuori in strada. Le donne indossavano la solita vestaglia blu. In una Porto Azzurro profumata di gerani, invece, le signore indossavano tacchi, rossetto, orecchini e vestiti a fiori leggeri; gli uomini in maniche di camicia, perfettamente stirata, le accompagnavano a braccetto, lasciando scie di acqua di colonia nell’aria.
Cose mai viste.
Renato amava tutto di quell’isola: tutto era esotico, libero, magico, nuovo, charmant: le sedie di vimini fuori dai locali, i bicchieri di vino all’ora dell’aperitivo, i menù esposti fuori dai ristoranti che il nostro ragazzetto moro ed abbronzato leggeva con attenzione come se fossero stati la Bibbia, distolto solo dal profumo dei piatti che passavano sotto il suo naso e che egli annusava avidamente cercando di indovinarne i nomi.
Poi, nell’aria della sera si stagliava nitida la sigla di inizio del film.
Cinque o sei ragazzetti squattrinati, che non si potevano permettere il lusso di pagare il cinema all’aperto, si ritrovavano all’improvviso davanti ad un portone: quello di Danesi, un amico di Renato il cui padre era un marinaio della Toremar. I ragazzi salivano le scale, aprivano le finestre della casa che dava sulla piazzetta e si appollaiavano l’uno sull’altro spintonandosi nel tentativo di vedere il film.
Presto però arrivava la noia e allora, a corsa, giù di nuovo per le scale, liberi nella profumata notte elbana.
Era un MONDO.
Da osservare, come da un oblò, come quello della caccia al polpo.
Renato ferma i suoi ricordi, con nostalgia certo.
Sono passati moltissimi anni.
Poi con la sua capacità di dare sintetici ed illuminati giudizi tranchant, chiosa : “Era un mondo. Di odori nuovi, di profumi diversi, di tante cose che accadevano, che incuriosivano, di persone mai viste, di situazioni che cambiavano di continuo. Ora non c’è più niente. Ora è solo un mondo di yogurterie”.
POLPO ALL'ELBANA
Ingredienti
- 4 cucchiai di olio extra vergine di oliva
- 2 spicchi di aglio
- peperoncino
- 1 polpo di circa 800gr - 1 kg.
- 1/2 bicchiere di vino bianco
- 2 pomodori maturi (in alternativa: 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro)
- sale, pepe
- 1 ciuffo di prezzemolo
Istruzioni
- In una casseruola dal fondo spesso, metti 4 cucchiai di olio, gli spicchi di aglio ed un pizzico di peperoncino. Fai andare per circa 2 minuti, in modo tale che l'olio si scaldi e l'aglio rilasci il suo profumo.
- Aggiungi il polpo e, a fuoco vivo, fagli prendere un pò di colore.
- Versa il vino e fai evaporare l'alcool, in modo che ne rimanga l'aromaticità.
- A questo punto, aggiungi il pomodoro tagliato a cubetti piccoli oppure il concentrato di pomodoro sciolto in pochissima acqua calda.
- Ora abbassa il fuoco e copri il polpo con il coperchio. Il polpo deve cuocere nella sua acqua. Occorreranno circa 45 minuti/1 ora.
- A fine cottura, aggiungi sale, pepe ed il prezzemolo tritato. Lascia il polpo nella sua casseruola per almeno 10 minuti (se lo fai al momento) o finché non è completamente raffreddato.
OPPURE PROVA QUESTE…
ragù
SILVANA
La Piazzetta San Dalmazio è una piccola piazza del centro storico di Pomarance; uno dei luoghi più pittoreschi del mio paese nel suo indubbio charme tipicamente toscano.
Dalla finestra della mia camera si vede il campanile e, se per un attimo faccio silenzio nella mia testa, la ricordo tutta innevata, deserta e silenziosa.
D’estate è come deve essere: assolata, con i suoi immancabili vasi di gerani, panchine e fontanelle d’acqua ronzanti di vespe.
In piazzetta San Dalmazio ci viveva Silvana.
zuppa
E NOI, CHE NON SIAMO MAI ABBASTANZA
E’ il tempo della fine dell’estate.
Uno splendido settembre mi sta per abbracciare di nuovo con il tepore di una pashima leggera che si tira fuori dalla borsa il pomeriggio quando comincia a raffrescare.
coniglio in umido con fagiolini
D’ESTATE ANDAVAMO A FORTE DEI MARMI
“La casa aveva un giardino…”
No, questo non è l’incipit di Vestivamo alla Marinara e no, non siamo la famiglia Agnelli.
Noi andavamo in Sardegna e, più precisamente, a Capo Testa.
Partenza 1 agosto. Ritorno 31 agosto.
Un mese spaccato di turchese e granito.
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